lunedì 28 dicembre 2015

Il Bar Celestiale

Tom Youngholm

N.d.A.

Durante tutta la mia vita, sia nei momenti difficili sia in quelli più felici, ho avuto la sensazione che mancasse qualcosa. Non sapevo che cosa, ma mi rendevo conto che mancava.
Un giorno del febbraio 1987, mentre ero assorto in meditazione, fui trasportato in un luogo... un luogo nascosto dietro il muro dei ricordi.
Nei sette anni successivi le persone, i luoghi, i libri, i film le forme geometriche e la musica mi hanno condotto a una consapevolezza che trascendeva la mia esperienza quotidiana.

Ho scritto questo romanzo registrando mentalmente quanto più ho potuto del mio viaggio... la mia visita a...
Molti dei personaggi, dei luoghi e delle situazioni descritte nel Bar Celestiale sono esistite realmente nella mia vita. Mi sono limitato a cambiare qualche nome per conservare la privacy.

Questo libro si muove tra le molteplici realtà della mia coscienza. Adesso so che esistono tutte. Quello che ho dovuto fare per percepirle, è stato cambiare il fuoco dei miei pensieri. Allora mi sono visto come un essere spirituale sulla via del ritorno a casa, e questa consapevolezza mi ha permesso di compiere il mio viaggio con amore e di capire completamente questo mondo, con tutti i suoi giochetti, la sua sofferenza e la sua complessità. E' stato allora che la pace e l'equilibrio sono entrati stabilmente a far parte della mia vita. Ma è tutto iniziato con la spiritualità: ho riconosciuto il ruolo fondamentale che essa ricopre nella mia vita e ho deciso di agire in base al nuovo fuoco dei miei pensieri.

Lo scopo del Bar Celestiale è condividere con voi il mio viaggio, sperando che tutti possiate entrare insieme a me in questo nuovo mondo eccitante, meraviglioso e pieno d'amore. Adesso capisco che molti di noi hanno talvolta bisogno di coordinate, riposo, nutrimento e amicizia. Ma ricordate: nessuno è solo in questa ricerca. Quindi, se provate un senso di vuoto o se avvertite che vi manca qualcosa, fate un salto nel mio bar preferito, il Bar Celestiale
Ci vediamo lì!
Tom
Ottobre 1994


Prologo

"Non sapeva che cosa fosse, ma era alla ricerca di qualcosa di più nella sua vita".

San Diego

Digger all'improvviso sentì freddo mentre il vento gli soffiava sul corpo. Guardandosi alle spalle, ebbe la sensazione che qualcuno lo stesse inseguendo. Si trovava di fronte al condominio in cui aveva abitato tanti anni pria, quando suo padre era morto. Più spaventato che confuso, cominciò a salire rapidamente verso il suo appartamento al terzo piano. Nel girare la maniglia della porta d'ingesso, temette che l'assalitore sconosciuto potesse aver già violato il suo dominio privato, l'unico posto della sua vita in cui sentiva di avere il controllo di sé. La porta si spalancò e lui fu risucchiato all'interno. Si trovò in piedi in mezzo al soggiorno con la paura della catastrofe imminente. L'aria si era fatta più spessa e la temperatura era rapidamente scesa. Un senso di leggerezza avvolse il suo corpo: notò con totale sorpresa che non era più in piedi sul pavimento, ma sospeso a mezz'aria. Pochi istanti dopo, stava volando. Udì e sentì ciascuna delle sue costole scricchiolare mentre sbattevano contro la cappa del camino. Quando il suo corpo atterrò, avvertì il sapore salato del sangue che colava da una ferita apertasi sopra l'occhio destro.
Di nuovo la forza invisibile scagliò il suo corpo contro le pareti come se fosse una pallina da flipper e con estrema chiarezza percepì una per una le sue ossa rotte, le lacerazioni, le contusioni. Pregò di poter perdere conoscenza perché tutto passasse. A terra, gettato come una bambola di pezza, avvertì la presenza di qualcuno sopra di lui. Cercò disperatamente di vedere chi fosse, ma il sangue gli colava sul volto e negli occhi, impedendogli una chiara visione del suo persecutore. Digger si arrese. Non poteva combattere contro la forza che lo sopraffaceva.
"E' ora", gridò qualcuno in lontananza.
Per un attimo, mentre la stessa voce ripeteva "E' ora", l'attenzione dell'assalitore fu distratta.
Digger sentì che il suo corpo veniva sollevato senza fatica da questa forza sconosciuta che poi lo gettava dalla finestra.

"Digger, è ora", disse una voce familiare. "Che diavolo stai facendo?".
Digger Taylor rabbrividì e si guardò attorno: tutti i suoi compagni di squadra sulla panchina lo stavano fissando. Lui stava sognando a occhi aperti, rivivendo l'incubo che aveva avuto la notte precedente. 
(...)

Capitolo 1

"L'amore... richiede cura e nutrimento"

San Diego, quattro mesi dopo

Mentre Digger pedalava sulla sua bici, sentiva la brezza fresca del Pacifico sferzargli il viso.Correva lungo la passeggiata dove di solito c'erano persone con gli skateboard, i pattini, che camminavano o che facevano jogging. Ma alle tre del mattino era calmo. Digger amava la notte, non c'erano distrazioni, non c'era nessun posto in cui andare, niente compiti da svolgere. Quello era il momento in cui era più introspettivo e creativo, era il momento della giornata che meglio rifletteva i suoi stati d'animo.
Quando raggiunse il frangiflutti in fondo a Mission Beach, mise giù la bici e la chiuse con il lucchetto. si arrampicò sugli scogli per raggiungere la punta del molo: là, a quell'ora di notte, raramente c'era qualcuno. Slittò su uno scoglio scivoloso e mise la mano in avanti per proteggersi dalla caduta. Doveva stare più attento, pensò.Non si poteva rompere altre dita. Quel mignolo rotto gli era costato del tempo prezioso per la composizione. Il dito era pressoché guarito, ma gli venivano quasi sempre i crampi quando raggiungeva un particolare fraseggio nel concerto che stava tentando di finire.
Come sempre, era uscito dal ristorante verso l'una di notte e se ne era tornato a casa alla sua musica, ma quella sera non si sentiva creativo e aveva deciso di fare un giro in bici. Troppe cose gli affollavano la mente: doveva pagare i conti, finire il suo concerto, venire a capo dei suoi sentimenti per Mary, trovare un vero lavoro e poi c'era quell'incubo che si ripeteva all'infinito. Negli ultimi mesi, inoltre, c'era quel familiare senso di vuoto che serpeggiava dentro di lui e, dalle esperienze precedenti, sapeva che il suo significato era: guai all'orizzonte.
Rimase seduto là circa un'ora, osservando le onde che lambivano gli scogli pochi metri sotto di lui. Lanciò un'occhiata a ovest, con le luci della città alle spalle: era la direzione migliore per scrutare il cielo. Le stesse erano molto più lucenti in quel punto. Avrebbe potuto restare delle ore a lasciar vagare la sua mente. Il cielo gli stimolava la fantasia e il mare in qualche modo placava le sue ansie.
(...)

Capitolo 2

"Mancava qualcosa, ma non riusciva a capire cosa".

Il sole stava cominciando a scaldare la città mentre Digger percorreva la strada, e si dirigeva, dopo aver superato una casa, verso un minuscolo cottage con una sola stanza. Le onde gemevano e si infrangevano sulla spiaggia. Era quella la ragione principale per la quale aveva scelto quel posto: la sua vicinanza all'oceano. Era sempre stato attratto dai suoni e dagli odori del mare.
Amava anche la riservatezza di quel luogo, non solo per se stesso, ma anche perché poteva suonare la sua musica senza dar fastidio a nessuno. Anche il prezzo era equo. Dove avrebbe potuto altrimenti trovare a San Diego, se non lungo l'Ocean Beach, una stanza direttamente sulle onde per soli cinquecento dollari al mese?
Aveva certamente bisogno di risparmiare il più possibile. Stava ancora pagando i debiti che aveva con sua madre e un amico. In effetti, il fisco lo stava minacciando in tutti i modi perché non aveva ancora effettuato l'enorme pagamento finale delle tasse. Il tentativo fallito in Florida lo stava ancora perseguitando, in molti modi diversi.
Dick girò la chiave nella toppa e aprì la porta del suo cottage. Respirò a fondo e sospirò tra sé. Casa, dolce casa, pensò.
Non sarebbe mai riuscito a fare quella cosa, senza disciplina. Forse quel giorno la sua vita sarebbe andata diversamente. Era stanco di dover lavorare ora dopo ora, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, con poca musica da mostrare malgrado tutti gli sforzi. Forse sua madre si sbagliava. Forse, dopo tutto, non aveva quel gran talento.
(...)

Capitolo 3

"Ti ritornerà"

Digger sentì che il suo corpo veniva sollevano senza fatica da una forza sconosciuta. Poi cominciò a volare in alto. L'istante dopo, il suo corpo sbatteva contro la finestra del suo appartamento. Sentì ciascuna delle schegge di vetro esplodere dentro di lui mentre ricadeva sul pavimento tre piani più sotto. Non riusciva a credere di non essere morto. Desiderò esserlo: almeno il dolore sarebbe cessato. Attraverso gli occhi gonfi, intravide un'ombra scura che gli copriva il corpo. Fu sopraffatto da un sentimento di totale rassegnazione. Aspettò il colpo finale. Lo avrebbe trascinato lontano da tutto quel dolore.
Cominciò a piovere e i suoi sensi divennero più lucidi. Ora stava correndo. La figura evanescente era dietro di lui e si avvicinava ogni passo di più.
"E' ora Jonathan", disse una voce attraverso la pioggia battente. Digger vide una luce provenire da un edificio lontano. Corse più in fretta a ogni passo. Poi una mano pesante gli afferrò la spalla e lo fece tremare. Non appena si girò, emise un urlo...
Digger sobbalzò sulla sedia e rivoli di sudore gli scesero lungo le tempie. Dannazione, questa cosa doveva finire, pensò tra sé; il cuore gli batteva ancora forsennatamente in petto. Quando sarebbe mai finito quel sogno?
Aveva avuto quell'incubo, la prima volta, poco dopo la morte di suo padre. Il sogno terminava sempre nello stesso modo: il suo corpo spiaccicato sul marciapiede davanti al suo vecchio appartamento, in attesa del colpo finale da parte dell'aggressore irriconoscibile.
La notte prima di rompersi il dito, nell'incubo si erano aggiunti due particolari: primo, mentre sfuggiva al suo assalitore, si era ritrovato a dirigersi verso un edificio illuminato, ma non riusciva ad arrivarci. Secondo, c'era quella voce.
(...)