mercoledì 26 gennaio 2011

Sanità e Santità (6)

Seduta su di un lato del mio letto stavo singhiozzando come non avevo mai fatto prima. La mia compagna di stanza non si accorse di nulla. Russava dormendo beata sotto l’effetto dell’antidolorifico post operatorio, ma non era stato quello il motivo per cui non l’avevo svegliata. Venni a conoscenza del “mistero” soltanto qualche ora dopo: era diventata sorda da qualche anno e quindi usava un apparecchio durante il giorno mentre di notte lo toglieva.
Comunque, per non svegliarla uscii dalla camera e ci ritornai soltanto quando arrivò il momento della colazione. Lei era in bagno e quando ne uscì mi vide con gli occhi rossi e gonfi per il pianto.
“Ma dov’eri? Cosa ti è successo? Perché stai piangendo?” mi chiese con fare materno.
Io le raccontai del brutto sogno e lei, probabilmente per consolarmi, mi disse: “è solo un sogno! non ti preoccupare così... sapessi cosa è successo a me invece... altro che sogno! a me è successo davvero!”
“Cosa?! cosa ti è successo davvero?”
“Ora te lo racconto ma guarda che è stata una cosa veramente incredibile... ho creduto d’impazzire... sono stata anche dallo psichiatra sai? ma lui non ha potuto fare niente per aiutarmi, perché non dipendeva dai nervi... E perciò alla fine sono andata persino dall’esorcista...”

La mia compagna di stanza mi raccontò poi che circa due o tre anni prima aveva cominciato a sentire delle voci. Erano solo voci che credeva di percepire così come si sentono i pensieri insistenti, ma più passava il tempo e più li sentiva dentro di lei, non nelle orecchie o nella testa ma proprio dentro di lei. Quelle voci le dicevano che doveva uccidere i suoi nipotini, quei due bambini che sua figlia le affidava durante il suo orario di lavoro (quei due angioletti che poi ebbi modo di incontrare due giorni dopo questo racconto).
Lei aveva creduto subito di essere diventata pazza e così aveva pregato sua figlia di non lasciarla più sola con i nipotini perché aveva paura di peggiorare, di non essere in grado di controllarsi e di far loro del male.
Ebbe così tanta paura di questa sua condizione che decise di sua spontanea volontà di rivolgersi ad uno psichiatra. Per un lungo periodo fece anche la cura che gli era stata prescritta ma la cosa non migliorò neanche un po’ e visto che la medicina non le dava alcun risultato, sua figlia decise infine di contattare anche un prete (aveva sperato che un aiuto spirituale avesse potuto là dove l’approccio medico aveva fallito).
Abitava vicino al Vaticano da sempre e aveva avuto modo di conoscere più di un semplice sacerdote, ma prima si apprestò a confidare questa particolare situazione ad un prete che però subito la indirizzò presso un esorcista.

Ecco, a questo punto del racconto cominciai a pensare: “ooohh, adesso sì che mi sento più tranquilla! come no”!

Entrambi i mariti delle due donne erano sconcertati a dir poco, ma la mia compagna di stanza era “ridotta uno straccio” (disse proprio così) e voleva tentare anche questa strada.
Non voleva uccidere i suoi nipoti ma quelle voci erano così insistenti e piene di rabbia...
Insomma, per farla breve l’esorcismo finalmente la liberò, pur se dopo vari tentativi, e lei tornò ad essere la persona di prima, ma perse l’udito. E inoltre, qualche anno dopo si trovò ad affrontare la sua battaglia contro il cancro al seno.


Abba è con me se io sono con Abba


Sabato 23 aprile:

Dopo che l’infermiera mi prelevò il sangue per le analisi di routine, ricordami di aver visto una cappella mentre raggiungevo la stanza del reparto di pneumologia chirurgica, discesi i sette piani di scale per andarci. Era davvero presto (neanche le 7.00) e così non ci trovai nessuno. Una bella fortuna per me. Volevo proprio stare da sola. Avevo bisogno di parlare direttamente con il Grande Spirito, a Tu per tu. Senza intermediari di sorta.
Entrai già piangendo. Non riuscivo proprio a trattenere lacrime e singhiozzi. Mi sentivo disperata, e con questo stato d’animo cominciai il monologo. Mi stavo rivolgendo ad Abba, sì, ma nello stesso tempo mi guardavo attorno perché nonostante nessun essere umano fosse presente, io “sentivo” che qualcuno mi stava ascoltando. Per questo continuavo a camminare avanti e indietro, guardando ovunque. Non che ci fossero angoli nascosti in quella piccola stanza ma non riuscivo proprio a stare ferma. Con soli quattro passi ora mi trovavo vicino le immagini sacre, ora vicino la porta d’ingresso, ora vicino l’altare... Dunque, ben presto constatai che effettivamente non c’era alcuna persona fisica in quella stanza di cinque metri per cinque. Eppure qualcuno mi stava ascoltando!
Ad un certo focalizzai l’attenzione sul ritratto di Gesù: era la prima volta in vita mia che lo vedevo così raffigurato. Riflettei su quell’originale dipinto.
Mi colpirono in modo particolare quei due raggi di luce colorati (un rosso e uno tendente al celeste) che uscivano dal cuore nascosto sotto la tunica bianca. La mano sinistra di Gesù indicava il cuore e i raggi colorati che da lì uscivano, mentre la destra era alzata in procinto di benedire.
Due giorni più tardi seppi che si trattava del cosiddetto Gesù della Misericordia, e che il ritratto riproduceva la visione che Suor Faustina ebbe a Plock il 22 febbraio 1931. Durante questa visione, il Cristo espresse il desiderio che si dipingesse questa sua raffigurazione ma con su la scritta “Gesù, confido in Te!”
Nel suo diario Suor Faustina scrisse che Gesù le spiegò il significato dei raggi:

“Il raggio pallido rappresenta l’Acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il Sangue che è la vita delle anime”. (...)
“Entrambi i raggi uscirono dall’intimo della mia misericordia, quando sulla croce il mio cuore, già in agonia, venne squarciato con la lancia”. (...)
“Le grazie della mia Misericordia si attingono con un solo recipiente e questo è la Fiducia”.(...)
“Voglio che l’immagine venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo la Pasqua; questa domenica deve essere la Festa della Misericordia”.

E indovinate un po’ chi benedisse il quadro per la prima volta? Ma sì certo, fu proprio Giovanni Paolo II, il 23 aprile 1995 nella Chiesa di Santo Spirito in Sassia, a Roma. Anche Papa Karol mi stava accompagnando in questo doloroso e sconvolgente cammino che stavo percorrendo. Non avevo più dubbi.
In quella cappella ero entrata con la disperazione nel cuore, sì, ma pure con la certezza che soltanto lì avrei potuto trovare le mie risposte. Ero sicura che avrei trovato chi mi avrebbe ascoltata. Ed ero entrata con la consapevolezza che qualsiasi risposta avessi ricevuto l’avrei accettata, senza fare storie, affidandomi con Fiducia nelle mani di Abba.
“Sia come Tu vuoi che sia, ma fammi sapere cosa ne sarà di me! Non voglio fare operazioni, chemioterapia e quant’altro per illudermi di avere salva la vita. Non voglio martoriare il corpo inutilmente. Se devo morire, se è giunta la mia ora, dimmelo! Io l’accetterò senza paura, vivendo al meglio il tempo che mi concederai”.

Feci la mia richiesta col cuore in mano. Volevo sapere proprio questo perché stavo vedendo quale percorso sofferente e travagliato stava percorrendo mia cognata, anche a causa dell’accanimento terapeutico al quale i suoi familiari più stretti non si opponevano, anzi, pressavano perché li seguisse, nonostante non ci fossero miglioramenti ma solo netti peggioramenti. Io non volevo fare altrettanto. Volevo saperlo prima quale fosse il destino che mi aspettava. E inoltre non potevo (e non volevo) affidarmi soltanto delle mani e della coscienza degli medici. Quali garanzie potevano darmi che le cure e le operazioni non fallissero?
Da quel momento in poi, convinta dai sentimenti e dalle emozioni che provavo, sapevo che mi sarei fatta guidare soltanto da Lui.
Abba ascolta tutti coloro che Gli parlano col cuore in mano, e dà loro sempre una risposta. A me ne diede una subito, per cominciare, e me ne diede altre per tutto il tempo che stetti in quell’ospedale e anche dopo.
Volete sapere quale fu la prima risposta chiara e precisa? “Giovanni 15”.
Mentre camminavo da una parte all’altra della piccola stanza, ad un certo punto fui attratta dal Libro aperto vicino all’altare. Di solito i preti non lo lasciano mai sul leggìo finita la messa, o almeno io non ce l’ho mai trovato ogni volta che mi era capitato di entrare in una chiesa.
La parabola parlava dei tralci della vite...

“Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più” (...) “Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla”.

Dopo averla letta compresi immediatamente che se avessi fatto la scelta giusta questo avrebbe influito sul mio futuro: essere o non essere (dare frutti o non darli, questo avrebbe fatto la differenza!).

Anche nel buddismo si pone particolare attenzione alle scelte perché queste influiscono sul proprio karma futuro. E d’altro canto è anche ovvio che una scelta fatta male porta conseguenze negative, e viceversa.
Dunque, oltre ad essere un insegnamento religioso (il libero arbitrio), la questione delle scelte è una filosofia di vita universale! Molto spesso ci si dimentica di questa realtà di fatto, e altrettanto spesso si agisce senza pensare alle conseguenze. Semplicemente si agisce secondo le richieste del momento...

Mi ricordo che sorrisi con gratitudine, e allo stesso tempo mi rasserenai completamente. Mi sentivo forte e fiduciosa perché sentivo di dimorare in Gesù e Lui dimorare in me. Era un sentimento molto forte. Non è che all’improvviso fossi diventata una fervente cattolica, ma di certo non avevo più dubbi sulla voglia che avevo di essere: volevo diventare quel tralcio di vite che dà frutto.
Un abbraccio colmo di Amore puro mi avrebbe accompagnata durante tutto il resto del tragitto che avrei dovuto ancora percorrere. Sarebbe stata dura, lo sapevo, ma intanto la paura e lo sgomento erano svaniti all’improvviso.

Mentre tornavo nel reparto di pneumologia completamente rinfrancata, riflettei sul fatto che era nato prepotente in me il desiderio di voler portare a compimento tutte le cose che avevo lasciato a metà fino a quel momento, piccole o grandi che fossero: un contrasto mai chiarito negli anni, un perdono da concedere, una riappacificazione che aspettava da troppo tempo, le mie scuse da porgere a qualcuno, un lavoro a maglia lasciato a meta, il libro che volevo scrivere su tutta questa storia e che avevo già cominciato nella mia mente...
Qualsiasi cosa non dovrebbe mai essere lasciata a metà. Spesso si pensa (errando!) di finirla dopo. Ma dopo quando? La vita ci riserva alcune sorpresine che potrebbero non darci più modo di concluderle, e questo non può portarci ad altro che a vivere con ansia avvenimenti naturali come quello della morte!
Qualche ora dopo la colazione, una ragazza passò in ogni stanza dei degenti per sapere chi avrebbe voluto fare la comunione l’indomani. “Io”, risposi prontamente.
Accettai la sua proposta molto volentieri, eppure la cosa mi sorprese un po’: era davvero passato tanto tempo dalla mia ultima partecipazione alla comunione. Ma d’altro canto avevo perso la fiducia nell’istituzione religiosa a causa dei tanti scandali che hanno accompagnato gli uomini-preti nel corso degli anni, e quindi preferivo il tu per tu con Abba invece del contatto con i Suoi rappresentanti.
Ovviamente il sogno-incubo era ancora vivido in me e mi vennero subito in mente i preti-malvagi (quei tre con le dita viola e con le lunghe unghie nere!), e in cuor mio sperai che fosse quella ragazza a darci la comunione. Lei mi era piaciuta.
Pensai che mi trovavo a vivere l’esperienza della “brutta malattia” per la seconda volta a pochi mesi di distanza, ma con uno stato d’animo che non somigliava affatto a quello precedente. In questo frangente ero entrata in una fase mistica (oserei dire!) mentre nell’altro ero alla ricerca dell’approccio intenzionale (della serie: con la mente/l’intenzione si può tutto), ma ero troppo sconvolta allora per riuscire ad applicarlo nonostante credessi, e credo, che funzioni davvero.
Ora avrei avuto il modo e il tempo di collegare i due tipi di esperienza per giungere a quella chiarezza che mi avrebbe aiutata a superare anche questo ostacolo, ma con più consapevolezza, con più presenza.

Come recita un vecchio adagio: “aiutati che Dio ti aiuta”!

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